24-01-2018

Batteri resistenti agli antibiotici

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AUTORE: Dr. Sergio Moriani

Farmaci sempre meno efficaci. E’ un dato di fatto. Gli antibiotici non sono sempre capaci di assolvere al loro compito di contrasto dei batteri. Agenti patogeni responsabili di salmonellosi, tubercolosi e polmonite dimostrano refrattarietà agli antibiotici tradizionali.

Lo sviluppo della resistenza umana è favorito dall’assunzione di antibiotici per ingestione alimentare. Sono gli stessi animali d’allevamento, su cui si base la nostra alimentazione, ad assumere antibiotici. Gli stessi possono essere riversati nell’ambiente circostante. Oggi l’uso degli antibiotici veterinari va’ oltre il trattamento di infezioni animali, ma sta alla base dell’incremento di produttività di carne. Il suo consumo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, è previsto in aumento. Nel 2030 si stima un uso complessivo superiore a 200mila tonnellate di antibiotici veterinari. Nel 2013 erano 131mila tonnellate.

Ridurre il loro impiego si può. Anzi si deve. Le buone prassi ci sono e sono un esempio. Nei paesi scandinavi, in modo particolare, gli allevamenti impiegano farmaci fino a 90 volte meno dei paesi della fascia mediterranea, tra cui l’Italia. Nel 2006 L’Unione Europea ha messo al bando il ricorso all’antibiotico veterinario al di fuori di scopi terapeutici. Il successo non è stato omogeneo. Dove la norma è stata applicata in modo restrittivo (in Germania, Francia e Regno Unito) il calo è stato evidente. Ma per il bene di tutti si deve prendere coscienza del problema a livello planetario. L’Istituto Superiore di Sanità certifica che l’Italia è in testa alla graduatoria dei paesi farmacoresistenti in Europa. Non è un bel primato. Bisogna incentivare l’azione dei veterinari che operano nel settore pubblico e privato e agevolare il controllo a campione delle carni macellate.